La clausola di durata minima garantita

Nel contratto individuale di lavoro a tempo indeterminato, le parti possono recedere dal rapporto secondo le regole generali, tuttavia può essere inserito nel contratto un patto di stabilità o clausola di durata minima garantita.

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Nel contratto individuale di lavoro a tempo indeterminato, le parti possono recedere dal rapporto secondo le regole generali e quindi:
– il datore di lavoro solo in presenza di giusta causa o giustificato motivo, soggettivo o oggettivo,
– il lavoratore per giusta causa o, se senza giustificazione, con il solo obbligo del preavviso.

Può tuttavia essere inserito nel contratto di assunzione un patto di stabilità o clausola di durata minima garantita.

In forza di tale clausola, le parti possono impegnarsi a non recedere dal rapporto per un periodo di tempo prestabilito. In sostanza, quindi, il rapporto a tempo indeterminato si atteggia, per il periodo di tempo legato alla durata del patto, a contratto a tempo determinato. 

La clausola può anche prevedere il pagamento di una penale nel caso di recesso anticipato (salva ovviamente la giusta causa, che permette sempre di recedere liberamente dal rapporto senza vincoli né conseguenze).

Affinché il patto sia valido, la durata del vincolo deve essere ragionevole e proporzionata alle esigenze che vengono tutelate, non potendo vincolare eccessivamente le parti.

Anche l’eventuale penale deve essere proporzionata (potendo essere rideterminata dal Giudice in sede giudiziale qualora ritenuta eccessiva).

La clausola può essere pattuita a favore di una sola parte (datore di lavoro o lavoratore) o di entrambe

Se stabilita a favore del lavoratore, la clausola non va che a rafforzare la tutela già prevista in caso di licenziamento: in caso di recesso datoriale prima del termine prestabilito, infatti, il lavoratore potrà avere diritto, oltre che all’ordinaria tutela nel caso di licenziamento non giustificato (anche reintegratoria), anche all’ulteriore risarcimento del danno prestabilito (in caso di penale) o comunque commisurato alla perdita subita (quantificabile nelle retribuzioni che avrebbe dovuto ricevere se il rapporto fosse proseguito fino alla data stabilita).

Invece, se prevista a favore del datore di lavoro (come solitamente accade), essa non può ovviamente costringere il lavoratore a continuare il rapporto di lavoro. Nel caso il lavoratore decida di recedere prima del termine convenuto e in assenza di giusta causa, egli sarà chiamato a risarcire il danno al datore di lavoro.

Se è prevista una penale, il risarcimento dovuto alla parte datoriale è prestabilito e non necessita di dimostrazione, salvo il danno maggiore, da provare.

Se manca invece la previsione di una penale, il lavoratore è tenuto al risarcimento del danno subito dal datore di lavoro che deve essere specificamente allegato e quantificato (ad esempio: le spese per l’addestramento o la specifica formazione).

Il patto di stabilità costituisce un utile e valido strumento, soprattutto per il datore di lavoro, per fidelizzare il lavoratore e per evitare che risorse specializzate, su cui l’azienda investe in formazione, passino alla concorrenza.

Esso è spesso utilizzato soprattutto nel caso in cui la formazione iniziale del lavoratore richieda un investimento economico di particolare rilevanza (come nel caso di assunzione di pilota per la guida di un aeromobile da parte di compagnia aerea, con assunzione dei costi del corso di formazione per il conseguimento dell’abilitazione alla guida).

L’inserimento di una clausola di questo tipo costituisce una scelta ponderata e in taluni casi necessaria, che richiede attenta e professionale valutazione.

Erica Mussato Avvocato - Diritto del lavoro e previdenziale
Avvocato Erica Mussato, Diritto del Lavoro e Previdenziale
Servizio Agoràpro collegato a questo articolo: Problematiche sul lavoro – Imprese e società

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