Il patto di prova – Approfondimento

Prima di procedere con l'assunzione definitiva, è possibile prevedere un periodo di prova volto a verificare se il rapporto di lavoro risulti conveniente per entrambe le parti. Prima della scadenza di tale periodo, le parti sono libere di recedere dal contratto di lavoro, senza alcun vincolo di preavviso, né di motivazione.

LinkedInFacebookWhatsAppEmail

Prima di procedere con l’assunzione definitiva, è possibile prevedere un periodo di prova volto a verificare se il rapporto di lavoro risulti conveniente per entrambe le parti (art. 2096 c.c.). Prima della scadenza di tale periodo, le parti sono libere di recedere dal contratto di lavoro, senza alcun vincolo di preavviso, né di motivazione.

Il patto di prova è quindi un elemento accidentale e non essenziale del contratto di lavoro.

I requisiti di validità del patto di prova

– Deve risultare da atto scritto, solitamente all’interno del contratto di lavoro stesso o anche in altra scrittura a latere, e deve essere precedente o contestuale all’inizio del rapporto di lavoro. Diversamente, se sottoscritto successivamente all’inizio del rapporto o se non sottoscritto, il rapporto si intende costituito definitivamente ab origine, senza alcun periodo di prova.

– Deve contenere l’indicazione delle mansioni specifiche assegnate, anche richiamando le declaratorie del CCNL applicato in base alla qualifica e al livello assegnato al lavoratore. In questo senso, è necessario, ai fini della validità dello svolgimento del patto di prova, che nel periodo di prova le mansioni svolte dal lavoratore siano quelle previste nel patto stesso. In caso contrario, il patto di prova potrà essere dichiarato nullo, con tutte le conseguenze di legge.

– Deve avere una durata massima, che è quella stabilita dalla contrattazione collettiva di settore a seconda della qualifica e del livello di inquadramento, e comunque non può mai superare i 6 mesi (art. 10 L. 604/1966). La durata può essere indicata in giorni, lavorativi o di calendario, o mesi.

Il patto di prova può essere sospeso o prorogato?

In linea di massima, il periodo di prova può essere prorogato, previo accordo tra le parti e sempre con atto scritto prima della scadenza originaria, nel rispetto del termine massimo previsto dalla contrattazione collettiva.

Il periodo di prova non è sospeso nei casi di mancata prestazione lavorativa inerenti al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività. Deve invece ritenersi escluso in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del parto stesso, quali la malattia, l’infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell’attività del datore di lavoro e il godimento delle ferie annuali.

Su tale ultimo aspetto, tuttavia, è possibile che la contrattazione collettiva preveda una disciplina diversa (ad esempio, potrebbe prevedere che i giorni di prova siano di “effettivo lavoro”). È quindi opportuno richiamare la specifica previsione collettiva nel patto di prova, in modo da chiarire subito quali eventi possano sospendere il periodo di prova e quali invece rimangano neutri.

Cosa accade se il patto di prova ha una durata superiore a quella prevista dalla contrattazione collettiva?

Come detto, in linea di principio, la durata del patto di prova deve rispettare i limiti stabiliti dal CCNL applicabile, tenuto conto di qualifica e livello di inquadramento. 

Tuttavia, come chiarito dalla Corte di Cassazione anche recentemente (sentenza n. 9789 del 26 maggio 2020), la clausola del contratto individuale di lavoro con cui sia previsto un periodo di prova di durata superiore a quella massima prevista dal CCNL può ritenersi legittima solo nel caso in cui la particolare complessità delle mansioni di cui sia convenuto l’affidamento al lavoratore renda necessario, ai fini di un valido esperimento e nell’interesse di entrambe le parti, un periodo più lungo stabilito dalla contrattazione collettiva. La prova di tale maggiore complessità deve essere fornita dal datore di lavoro. Se manca tale prova, dato il maggior sfavore per il lavoratore di una clausola di questo tipo, la durata del patto di prova è ridotta a quella stabilita dalla contrattazione collettiva, ex art. 2077 c.c. comma 2, in quanto clausola viziata da nullità relativa.

È legittima la successione di più patti di prova in caso di più assunzioni successive del medesimo lavoratore?

In linea di massima, un datore di lavoro non può sottoporre a prova l’assunzione di un lavoratore con cui aveva già intrattenuto un precedente rapporto di lavoro, per le medesime mansioni.

È invece possibile prevedere un periodo di prova nel caso in cui la seconda assunzione sia relativa a mansioni diverse rispetto a quelle precedentemente svolte.

Tuttavia, come chiarito  anche di recente dalla Suprema Corte (sentenza n. 7984/2020), l’apposizione del patto di prova potrebbe essere legittima anche a fronte di un rapporto di lavoro che contempli lo svolgimento di mansioni analoghe a quelle in precedenza svolte, ove si accerti la sussistenza di ragioni che giustifichino l’utilità del ricorso al patto di prova per una verifica ulteriore rispetto a quella relativa alle qualità professionali o tenuto conto della diversità del contesto lavorativo.

Quali sono le conseguenze della nullità del patto di prova?

Durante il patto di prova e fino alla sua scadenza, le parti sono libere di recedere liberamente senza obbligo di motivazione né di preavviso (recesso c.d. ad nutum).

Viceversa, decorso il termine di prova senza che nessuna delle due parti comunichi alcunché, il contratto di lavoro si intende definitivo e vigono quindi le regole ordinarie per il recesso. 

Se però il patto di prova si rivela nullo (perché ad esempio non risulta da atto scritto anteriore all’inizio del rapporto o se mancano le indicazioni delle mansioni) anche solo parzialmente (perché di durata superiore a quella stabilita dal CCNL), il contratto si considera definitivo ab origine oppure alla scadenza del periodo rideterminato secondo la contrattazione collettiva.

Di conseguenza, il recesso che intervenga in questo periodo non gode del trattamento particolare riservato al recesso durante periodo di prova, ma si atteggia a licenziamento o dimissioni (a seconda della parte che lo esercita), con la necessità di verificare la fondatezza delle motivazioni (nel primo caso) e del rispetto del preavviso (in entrambi i casi).

Con l’ulteriore conseguenza, per il datore di lavoro, che il licenziamento di un lavoratore asseritamente in prova potrebbe essere ritenuto nullo, perché carente di motivazione, con diritto del lavoratore alla reintegra.

In conclusione, il patto di prova è un utile strumento per una preliminare verifica della convenienza del rapporto di lavoro.

È opportuno che venga previsto con apposita clausola che rispetti tutti i limiti stabiliti dalla normativa, sia collettiva che civilistica, e che tenga conto delle condizioni del lavoratore, di eventuali pregressi rapporti e che consenta l’effettivo espletamento delle mansioni assegnate.

Erica Mussato Avvocato - Diritto del lavoro e previdenziale
Avvocato Erica Mussato, Diritto del Lavoro e Previdenziale
Servizio Agoràpro collegato a questo articolo:
Problematiche sul lavoro – Imprese e società

Per ricevere periodicamente le nostre news nella tua casella e-mail,
iscriviti alla newsletter Agoràpro.

LinkedInFacebookWhatsAppEmail