Il patto di famiglia per prevenire le liti ereditarie

Lo strumento del nostro ordinamento per realizzare il passaggio generazionale evitando che i futuri eredi litighino.

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Conciliare il passaggio generazionale di un’impresa con l’esclusione di possibili liti ereditarie future è ciò che chiunque desidererebbe, ma non sempre è un’operazione semplice.

Uno degli ostacoli che si incontrano è costituito dai diritti dei legittimari. È ormai noto che i legittimari (coniuge, figli e, in mancanza di questi ultimi, ascendenti) hanno diritto – indipendentemente da un eventuale testamento contrario – ad una quota in natura del patrimonio della persona che verrà a mancare.

Ciò che spesso sfugge è che questa quota, a loro riservata dalla legge, si calcola non solo su ciò che il de cuius lascia al momento della morte, ma anche su ciò che egli ha liberamente donato durante la sua vita.

Per questo motivo, un passaggio generazionale realizzato in vita dall’imprenditore, con intestazioni a titolo gratuito e senza tener conto dei futuri diritti dei legittimari, può essere vanificato dopo la sua morte e soprattutto costituire fonte di lunghe e dispendiose liti ereditarie.

I diritti dei legittimari, dunque, costituiscono un limite alla libertà dell’imprenditore di attuare gratuitamente ed in vita il passaggio generazionale in favore di chi gli sembra più idoneo.

Inoltre, eventuali accordi raggiunti quando l’imprenditore è in vita, e che contemplino la rinuncia dei legittimari alla loro quota, sarebbero nulli a causa del divieto dei patti successori, cioè del divieto di concludere accordi che abbiano ad oggetto in tutto o in parte l’asse ereditario futuro.

Allo stesso modo, sarebbe altrettanto nulla la rinuncia unilaterale manifestata da un legittimario sulla sua quota di riserva di un patrimonio su cui non si è ancora aperta la successione.

La lite ereditaria tra i figli di Mario

Per capire a fondo ciò che questo comporta, facciamo un esempio con nomi di pura fantasia.

Mario, vedovo ed imprenditore individuale, ha tre figli.

Accusa la stanchezza dovuta all’età e, contemporaneamente, apprezza gli sforzi del figlio Piero che, dai tempi del diploma, si è dedicato al successo dell’attività paterna, l’impresa Gamma. Si rende conto che, a causa dei suoi acciacchi, potrebbe essere costretto ad assentarsi per periodi più o meno lunghi.

Decide quindi di intestare l’azienda Gamma a Piero, tenendo per sé solo un ramo secondario, Gammetta, che richiede meno impegno e che può comunque fruttare bene, grazie agli ordini che Gamma continuerà a commissionarle.

Gli altri due figli di Mario, Anna e Roberto, sono appena andati all’estero: Anna ha iniziato a lavorare in una multinazionale e Roberto frequenta l’Erasmus universitario. Entrambi comunicano al padre che per loro, qualsiasi cosa egli decida di fare, andrà bene: conoscono gli sforzi e la dedizione del fratello Piero e nulla hanno da ridire sulla scelta del padre. Nessuno di loro, tra l’altro, vede nel proprio futuro un lavoro presso Gamma.

Mario, quindi, dona l’azienda al figlio Piero, che la porta avanti con grande passione e ne fa crescere il fatturato, dopo averne anche sistemato l’esposizione debitoria, dovuta ad una temporanea crisi di liquidità. Il fatturato di Gamma triplica nel giro di 15 anni e garantisce anche a Gammetta una crescita del fatturato.

20 anni dopo, Mario passa a miglior vita. Prima di morire, redige un testamento in cui lascia i suoi tre beni, di pari valore, ai tre figli:

– l’azienda Gammetta, che aveva tenuto per sé, a Piero,
– l’immobile in cui abitava a Roberto,
– un ulteriore immobile, locato a terzi, ad Anna.

Dopo la morte di Mario, tuttavia, il marito di Anna e la moglie di Roberto ricordano ai rispettivi coniugi che il cognato Piero ha ricevuto molto di più, tanto che oggi è titolare della florida Gamma, donatagli dal padre quando era in vita, che acquisterà maggior valore grazie all’acquisizione di Gammetta, lasciata con il testamento.

Anna e Roberto, dunque, si accorgono che, prendendo in considerazione l’azienda Gamma, il valore degli immobili lasciati a loro con il testamento non arriva a coprire la quota di riserva a cui avrebbero diritto nella successione del padre. Anna, inoltre, non è felice di aver ricevuto un bene che non aveva alcun valore affettivo per il padre. Roberto, dal canto suo, lamenta di aver ricevuto un immobile che, per quanto affettivamente importante, non è redditizio come quello già locato e lasciato alla sorella, né frutta come l’azienda lasciata al fratello.

Per non fare un torto alle loro nuove rispettive famiglie, ed in vista del costo degli studi dei rispettivi figli, Anna e Roberto non possono esimersi dal far presente a Piero che i loro diritti di legittimari sono stati lesi. Inoltre, sanno che, come legittimari, hanno diritto ad una quota in natura dei beni; quindi, entrambi vorrebbero una parte dell’azienda ed una parte di entrambi gli immobili.

Essi comunicano dunque a Piero che, sebbene fossero d’accordo sul fatto che il padre gli donasse l’azienda, ciò non voleva dire che fossero altrettanto d’accordo sul fatto che Piero, a conti fatti, ricevesse molto di più di loro, tra lascito ereditario e donazione ricevuta dal padre quando era in vita.

Piero, dal canto suo, risponde che alla fin fine quella donazione era l’unico modo per salvare l’azienda. Fa presente che, se non fosse stato per lui, non solo non ci sarebbe più stata l’azienda (che solo lui era stato in grado di riassestare rispetto alla situazione debitoria), ma probabilmente non ci sarebbero stati neppure i due immobili, che il padre aveva potuto finire di pagare grazie al denaro che aveva guadagnato come titolare di Gammetta, sopravvissuta solo grazie alle commesse affidatele da Gamma, di Piero.

Così ha inizio la lite ereditaria, in cui tutti i fratelli potrebbero far valere in giudizio ragioni giuridicamente rilevanti.

Perché l’imprenditore non può donare a chi desidera i propri beni durante la sua vita?

In realtà, Mario può certamente donare a chi desidera ciò che vuole, come effettivamente ha fatto. Ma, in vista della sua successione, deve tenere conto, appunto, dei diritti dei legittimari, cioè del diritto di costoro di ricevere una quota che viene calcolata su una massa composta da ciò che di attivo è rimasto, meno i debiti, e su ciò che il titolare del patrimonio ha donato in vita.

Quello di Mario è solo uno dei molti esempi di situazioni che possono venirsi a creare.

La normativa italiana sulle successioni, infatti, a tutela della famiglia, prevede che vi sia quantomeno una base minima che debba essere distribuita tra i legittimari. Se la quota che spetta ad ognuno di essi non è stata rispettata, il legittimario leso ha diritto di ricevere, da coloro che sono stati avvantaggiati da lasciti e donazioni, quanto manca per completare la sua parte.

Inoltre, a meno che non vi sia uno specifico accordo, il “completamento” della quota deve avvenire “in natura”, cioè non tramite una liquidazione in denaro, ma tramite una partecipazione alla titolarità dei beni e/o dei diritti.

È facilmente immaginabile quanto dannose possano essere le conseguenze di una azione volta ad ottenere la quota di legittima.

Questa normativa trovava una propria ragione nel sistema sociale, economico e produttivo dell’epoca in cui è stato promulgato il nostro codice civile. Nel 1942, l’economia italiana era basata ancora prevalentemente sull’agricoltura e sulla proprietà fondiaria.

Logicamente, dunque, ben poteva prevalere una logica di “frazionamento” equo del patrimonio, ma soprattutto del fondo, il quale non perdeva la propria capacità produttiva anche se diviso equamente tra gli eredi.

Con l’andar del tempo, tuttavia, sono emersi i grossi limiti che questa disciplina pone ad un sistema economico imprenditoriale ed industriale, soprattutto se basato sul settore secondario e terziario.

Come evitare la lite ereditaria: il patto di famiglia

Per superare questi ostacoli, ma senza voler tralasciare la tutela dei diritti dei familiari legittimari, è stato introdotto nel 2006 l’istituto del Patto di Famiglia, che costituisce un’importante deroga al sistema come sopra illustrato.

Il patto di famiglia, infatti, è un contratto con il quale l’imprenditore individuale o il titolare di quote societarie può, in vita, trasferire ad uno o più dei suoi discendenti la proprietà di beni destinati a cadere in successione, ed in particolare l’azienda o le quote di partecipazione in società.

Questo trasferimento può avvenire con o senza il sacrificio dei diritti spettanti agli altri legittimari e permette anche che questi ultimi rinuncino validamente (quindi senza più possibilità di “cambiare idea” al momento in cui si aprirà la successione) ad una quota dell’azienda o della partecipazione societaria, magari a fronte di una liquidazione in denaro o dell’assegnazione di beni diversi.

Il patto di famiglia prevede che partecipino tutti i legittimari, proprio per far sì che la situazione sia chiara e non possa essere più messa in discussione al momento della morte dell’imprenditore o del titolare delle quote societarie.

Uno dei limiti a questo strumento è legato all’eventuale sopravvenienza di altri legittimari (ad esempio, figli dell’imprenditore che potrebbero nascere dopo la stipula del patto). Le possibilità che ciò accada, ovviamente, possono però in molti casi essere escluse, magari per l’età dei partecipanti al patto. In molte occasioni, quindi, esso si rivela lo strumento più idoneo.

Tornando al caso di Mario, un accordo stipulato in sede di patto di famiglia, da un lato avrebbe costretto Anna e Roberto ad effettuare scelte più consapevoli (valutando, ad esempio, il loro desiderio di essere “compensati” per l’eventuale maggior valore corrisposto a Piero) e, dall’altro, a renderle definitive.

Sarebbe stato anche possibile valutare ampliamenti del contenuto del patto, al fine di rendere tutti i partecipanti pienamente soddisfatti dell’operazione, e studiare il miglior assetto per ottenere un lecito risparmio fiscale.

L’attribuzione a Piero, infine, sarebbe stata considerata “cosa fatta” da non rimettere in discussione, non solo sul piano giuridico, ma anche su quello emotivo e psicologico (terreno, quest’ultimo, in cui spesso affondano le proprie radici le più profonde motivazioni delle cause ereditarie).

Con il patto di famiglia, quindi, è possibile realizzare il passaggio generazionale dell’impresa in vita, senza temere che la disciplina successoria scardini l’operazione o renda estremamente conflittuale, dopo, la gestione della successione.

Spesso, infatti, non basta la fiducia tra i familiari a mettere al riparo dalle liti ereditarie: uno strumento giuridico come il patto di famiglia permette sonni più tranquilli.

Avvocato Maria Novella Galizia Diritto di Famiglia, delle Persone e delle Successioni, coFounder Agoràpro
Avvocato Maria Novella Galizia
Diritto di Famiglia, delle Persone e delle Successioni
Servizio Agoràpro collegato a questo articolo:
Consulenza sul patto di Famiglia

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